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lunedì 18 ottobre 2010

E' responsabile il possessore del cane che aggredisce i passanti


Nel caso di aggressione di una ragazza, da parte di un cane, dell’eventuale lesione ne risponde il possessore dell’animale. Lo ha stabilito la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 27 settembre 2010, n. 34813 con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un uomo contro la decisione dei giudici territoriali con cui era stato condannato per lesioni colpose in conseguenza del morso che il suo cane aveva dato ad una passante.
In tal modo viene respinta la tesi dell’imputato, il quale sosteneva di non essere responsabile del cane in quanto quest'ultimo era di proprietà della madre e della nonna, e di essere intervenuto solo quando aveva sentito le urla della ragazza allo scopo di riportare il cane nell’abitazione.
I giudici di legittimità i quali hanno sottolineato come, in tema di custodia di animali, "l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 c.p. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico".
Nella specie, continuano i giudici, l'animale era sicuramente da ritenersi nel possesso dell'imputato, come è emerso da determinanti dati circostanziali. Ad esempio, era stato proprio l’uomo, che abitava a casa della madre e si rapportava quotidianamente con l'animale, a richiamare il cane, a dare spiegazioni ai verbalizzanti e a portare il cane dai veterinari per i dovuti accertamenti.
Ecco di seguito la sentenza per esteso.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 2 luglio - 27 settembre 2010, n. 34813
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza del 19 maggio 2009 il Tribunale di Palermo dichiarava V.M. colpevole di lesioni colpose in danno di M.L. P. che, in data ****, era stata morsa dal cane appartenente all'imputato, e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 100,00 Euro di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale deduce violazione di legge e difetto di motivazione per la ritenuta sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile all'imputato e l'evento lesivo.
In sostanza si duole che si sia giunti alla affermazione della sua responsabilità senza tenere conto che il cane era della famiglia, più precisamente era di proprietà della madre o della nonna, e che egli era intervenuto solo quando aveva sentito le urla della ragazza, per riportare il cane nella abitazione.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha osservato che l'animale era sicuramente nel possesso del V. e ciò ha desunto dal fatto che fu proprio il V. a richiamare il cane, a dare spiegazioni ai verbalizzanti e a portare l'animale dai veterinari per i controlli; che egli abitava nella casa della madre e si rapportava quotidianamente con l'animale che gli ubbidiva e che portava a passeggio. Correttamente dunque egli è stato ritenuto responsabile dell'omessa custodia dell'animale, obbligo che ai sensi dell'art. 672 c.p. sorge in capo al possessore, indipendentemente dalla proprietà dell'animale, possesso da intendersi in senso ampio come già chiarito da questa stessa sezione con sentenza del 16.12.1998 n. 599 rv 212404, secondo cui "In tema di custodia di animali, l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 cod. pen. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico. (Fattispecie in tema di responsabilità per lesioni colpose cagionate dal morso di un cane)".
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., lett. D per intervenuta rinuncia.
Segue, come prescritto dall'art. 616 stesso codice, la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 (mille/00), equitativamente determinata, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000, per escludere tale ultima condanna.
                                                                          P.Q.M.                                       
LA CORTE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

venerdì 15 ottobre 2010

Non è licenziabile il lavoratore che, avvisando i propri colleghi della propria malattia, abbandona il posto di lavoro

Corte di cassazione - Sezione Lavoro - Sentenza 14 ottobre 2010 n. 21215.
Non può essere licenziato il lavoratore che abbandona il posto di lavoro avvisando i colleghi della propria malattia. Lo ha affermato la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 21215/2010 secondo la quale il comportamento del dipendente di abbandono del servizio per motivi di salute e di prolungamento dell'assenza anche nei giorni seguenti si può ritenere giustificato, su di un piano di buona fede, dal fatto che l'interessato era reduce da un grave infortunio e al momento del suo allontanamento aveva denunciato disturbi tali che i suoi stessi colleghi, seppure non autorizzati a concedergli permessi, lo avevano invitato a tornare a casa.

senteza integrale

sabato 9 ottobre 2010

Associazioni e Comitati

 
Le Associazioni ed i Comitati possono essere definiti gruppi di persone liberamente costituite, che svolgono volontariamente la loro attività per il conseguimento di uno scopo comune, diverso dallo scopo lucrativo o mutualistico.
Secondo l'art. 18 della Costituzione “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione,  per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete o quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni a carattere militare”. Tramite le Associazioni ed i Comitati i cittadini possono perseguire qualunque scopo non espressamente vietato dalla legge: ludico, culturale, sportivo, politico, sociale, ecc ..
La costituzione assicura e garantisce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente, essendo tali enti un  mezzo per il pieno sviluppo della persona umana e per partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.

E' IMPORTANTE SAPERE CHE NON E' NECESSARIO AVVALERSI DELL'ASSISTENZA DI UN NOTAIO PER COSTITUIRE UN'ASSOCIAZIONE OD UN COMITATO (a tal fine invito a consultare l'articolo "Costituire un'Associazione").
Per la loro costituzione non è necessaria alcuna autorizzazione, richiesta o formalità. Anche un accordo orale tra più persone può integrare la costituzione di una associazione.

Questi enti non possono compiere atti o perseguire fini che sono considerati reati dal codice penale.
Tali enti  sono regolati dall'atto costitutivo e dallo statuto (che deve avere determinati requisiti fiscali e legali), con cui le parti si vincolano a fornire il proprio contributo personale o patrimoniale  per il conseguimento di uno scopo comune. Tali atti sono quindi assimilabili ad un vero e proprio contratto stipulato tra i soci.
Nello statuto e atto costitutivo vengono regolate l'organizzazione, le assemblee, la responsabilità e poteri  dei dirigente, la gestione del patrimonio  e tutto quanto è inerente alla vista e ai bisogni dell'ente.
I principali requisiti delle associazioni e dei comitati sono: un gruppo di persone che si riunisce per conseguire uno scopo comune, la volontarietà di questa adesione, un organizzazione e il contributo materiale e personale dei soci.

Inoltre sono vietate le associazioni paramilitari (per ovvi motivi) e quelle segrete. In quest'ultimo caso è riferito sia al vincolo di segretezza riguardo l'appartenenza dei soci all'ente, sia agli scopi e ai mezzi usati, che non vengono esplicitati all'esterno dell'associazione stessa.

Per avere maggiori informazioni su come costituire, amministrare e portare a termine un'Associazione od un Comitato invito i lettori a visitare Associazioni e Comitati

giovedì 7 ottobre 2010

Anche in assenza della Planimetria non si può negare la D.I.A.

Tar Lazio - Sezione II - Sentenza 5 ottobre 2010 n. 32648
L'Ente comunale non può negare il rilascio di una Dia solo per l'assenza della planimentria o della sua sottoscrizione nella richiesta, invece ne può chiedere l'integrazione. Infatti, la mancata presentazione della planimetria è una semplice irregolarità che non può far scattare il diniego nei confronti della Dia. I giudici del Tar Lazio, con la sentenza n. 32684, hanno accolto l'impugnazione del provvedimento con cui era stata rifiutata la denuncia di inizio attività presentata per l'espletamento dell'attività ortofrutticola. Secondo il tribunale è giusta la censura sulla violazione dell'articolo 3 della legge n. 241 del 1990 oltre che all'eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti. L'atto impugnato, infatti, è stato emesso per effetto dell'omessa sottoscrizione della planimetria: una "assenza" che doveva essere derubricata a mera irregolarità documentale suscettibile di integrazione dopo l'accertamento della conformità dello stato dei luoghi, ma che non poteva considerarsi, di per sé sola, quale causa di diniego.
Ad ogni modo, non bisogna mai abbassare la guardia. I soprusi e le sopraffazioni da parte di chi ha il "potere" sono sempre dietro l'angolo, ma questo è, comunque, un tassello a favore della legalità.
Per ulteriori approfondimenti e per il testo integrale della sentenza invito a visitare il seguente link:
Giovanni D'Ambrosio