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mercoledì 22 settembre 2010

Agli Stranieri regolarmente e stabilmente presenti sul territorio va riconosciuta l'Indennità di accompagnamento se ricorrono i requisiti

Tribunale di Ivrea, sentenza 3 marzo 2010 n. 26.



È fondata la domanda della ricorrente, cittadina extracomunitaria residente nel territorio italiano da oltre cinque anni, a veder accertato e riconosciuto il diritto alla retrodatazione dell'indennità di accompagnamento a decorrere dal mese successivo alla presentazione della domanda, per effetto del riconoscimento della sussistenza dei requisiti sanitari richiesti a tal fine dalla commissione medica, e conseguentemente dichiarare l'illegittimità del provvedimento dell'Inps che abbia fatto decorrere la corresponsione della prestazione in questione solo dal giorno successivo all'ottenimento della Carta di soggiorno permanente, rilasciata dal comune su presupposto della residenza almeno quinquennale nel Paese.



Il giudice del lavoro del tribunale ordinario di Ivrea, nella sentenza 26/2010, ha affermato che, in applicazione dell'articolo 19 del Dlgs n. 30/2007, hanno diritto alla corresponsione dell'indennità di accompagnamento tutti i cittadini comunitari che risiedano nel territorio italiano, a partire dal terzo mese di soggiorno in poi. In tal modo si è voluto riconoscere il diritto in questione a tutti i cittadini che non siano entrati in maniera transitoria nel Paese, grazie al permesso di soggiorno, ma abbiano un legale di maggiore stabilità con il territorio, stabilità che può ritenersi raggiunta anche nel caso in cui il soggiorno sia protratto per poco più di tre mesi.
In conclusione, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno ed ai minori iscritti nei medesimi documenti, vanno riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini italiani cui devono ritenersi equiparati, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni economiche ed assistenziali. L'indennità di accompagnamento rientra, infatti, in tutte quelle prestazioni obbligatoriamente riconosciute sulla scorta di specifici presupposti, a chiunque sia legittimamente presente in modo stabile nel territorio italiano.

lunedì 20 settembre 2010

Attenzione ragazzi! Una bocciatura potrebbe costare la perdita dell'assegno di mantenimento...

Può un padre togliere l'assegno di mantenimento al figlio a causa dell'ennesimo insuccesso scolastico? La procura di Busto Arsizio ha rigettato la denuncia fatta nei confronti di un genitore. La sua colpa: aver chiuso i cordoni della borsa per spingere il figlio a studiare.

Studia oppure non ti farò uscire per un mese. Questa volta la bocciatura è costata decisamente più di un periodo di "reclusione" in casa o del mancato acquisto di un motorino. Roberto, 19 anni, studia in un istituto tecnico di Gallarate. Di fronte alla seconda bocciatura il padre, separato dalla madre, non ci ha più visto e ha deciso di sospendere l'assegno di mantenimento di 1000 euro al mese. Proprio per questo il ragazzo ha deciso di denunciare penalmente il padre.

TROVATI UN LAVORO

La procura di Busto Arsizio, però, non ha ravvisato motivi per dar seguito alla denuncia. Nella decisione dell'uomo il pm Luca Gaglio ha individuato la volontà di aiutare il figlio a maturare e non quella di sottrarsi agli obblighi imposti per legge. La decisione del padre, imprenditore, sarebbe stata preannunciata al figlio in una lettera inviatagli durante l'anno scolastico, quando la bocciatura iniziava a profilarsi all'orizzonte. Trovati un lavoro, gli avrebbe consigliato il padre. Una decisione in conflitto con altre sentenze del recente passato in cui i giudici avevano stabilito il diritto al mantenimento ben oltre il raggiungimento della maggiore età. Toccherà ora al gip archiviare definitivamente il caso. La questione continuerà però sul piano civile perché agli obblighi decisi dalla sentenza di matrimonio nessuna delle due parti può sottrarsi in modo unilaterale. E chissà che di fronte a un impegno formale del ragazzo il padre non decida di ritornare sui suoi passi.

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mercoledì 15 settembre 2010

La cartella esattoriale notificata direttamente tramite raccomandata è nulla

Con la sentenza n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, la Commissione tributaria provinciale di Lecce ha affermato che è inesistente la notifica a mezzo posta degli atti di Equitalia eseguita direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato. E' inesistente la cartella esattoriale notificata da Equitalia a mezzo di raccomandata!
La vicenda trae origine dall’omesso versamento d’imposte (IVA, IRPEF e IRAP), contestato a un contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria. Essendo decorsi gli ordinari termini per il pagamento del richiesto, il Concessionario iscrive a ruolo il debito tributario e, successivamente, decorsi gli ordinari termini di legge, iscrive ipoteca sugli immobili del contribuente, ai sensi dell'art. 77, D.P.R. n. 602/73. Tale iscrizione, ritenuta illegittima dallo stesso contribuente, viene da questo tempestivamente impugnata.

Il contribuente, in sede d’impugnazione, oltre a mettere in dubbio la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, contesta l’inesistenza della notifica del provvedimento stesso, poiché questo non è stato notificato tramite agente notificatore abilitato ed autorizzato.

Difatti, sebbene l’art. 26, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rubricato “Notificazione della cartella di pagamento”, preveda la possibilità, per gli Agenti della riscossione, di notificare i propri atti per posta mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, esso, tuttavia, individua espressamente quali agenti notificatori gli ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, i messi comunali o gli agenti della polizia municipale. In base all'art. 26, comma 1, citato, quindi, secondo il contribuente, la notificazione deve sempre essere effettuata da un agente notificatore abilitato, il quale può anche avvalersi del servizio postale, mentre sono certamente illegittime le notifiche eseguite a mezzo del servizio postale direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato. Poiché, tuttavia, nel caso de quo, le condizioni di cui all’art. 26 cit. non sono state rispettate, il contribuente eccepisce l’inesistenza della notifica dell’atto impugnato.

Avverso tale eccezione, poi, l’Agente della riscossione, a sostegno della legittimità del suo operato, invoca, invece, il solo secondo periodo del succitato art. 26, primo comma, secondo il quale "la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento".

Tuttavia, stando al parere della Commissione adita, mentre il primo periodo del comma 1 dell'art. 26 si limiterebbe a individuare - con un’elencazione tassativa - i soggetti legittimati all'esecuzione della notifica, il secondo periodo del comma 1 indicherebbe il modo attraverso il quale i soggetti di cui al periodo precedente possono eseguirla. In pratica, pur rimanendo fermi i soggetti autorizzati, questi, a loro volta, invece che direttamente, possono ricorrere all'ausilio del servizio postale per la notifica degli atti.

In ragione di ciò, quindi, la Commissione tributaria, accogliendo le doglianze del contribuente, poiché nel caso de quo non risultano rispettate le condizioni tassative di cui all’art. 26 cit., dichiara la notifica dell’atto impugnato giuridicamente inesistente.

Orbene, alla luce di quanto enunciato, si può concludere rilevando che, innanzitutto, la sentenza della C.T.P. di Lecce n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, risulta innovativa su un tema delicato qual è per l’appunto quello delle notifiche e, nello specifico di quelle a mezzo posta, colmo di incertezze, come da ultimo statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze n. 9493 e n. 9377 del 2009, che tuttavia hanno affrontato l’argomento relativamente all’aspetto oggettivo e non, come nel caso de quo, soggettivo.

Ancor più importanti, infine, sono gli effetti che la sentenza in commento, laddove confermata dai giudici di grado superiore, potrebbe produrre nei confronti dell’Agente della riscossione, che, in ragione di tale pronuncia, assisterebbe alla dichiarazione d’inesistenza di tutte le notifiche, relative ai suoi atti, eseguite per posta direttamente e non da soggetto all’uopo abilitato così come prescritto dalla norma, peraltro con possibile condanna alle spese, come nel caso de quo. (Commissione tributaria provinciale Lecce, Sentenza, Sez. V, 16/11/2009, n. 909)

mercoledì 8 settembre 2010

Chiarezza sullo sciopero delle farmacie in assistenza indiretta

Cari lettori,
                    con mio sommo dispiacere, mi ritrovo a dover affrontare il problema dello sciopero indetto dalla Federfarma che dallo scorso 6 settembre affligge Napoli con il serio pericolo di dilagare anche oltre in Campania. L'esigenza di questo articolo nasce dall'avvertita necessità di aiutare a fare un pò di chiarezza in una situazione di assoluto caos generato dall'eccezionale situazione di insolvenza dell'ASL napoletana nei confronti delle farmacie e, soprattutto, dall'incredibile scarsità delle notizie diffuse (assoluto disinteresse per il problema dei media nazionali e locali) a fronte di un così grave problema che, guarda caso, va a danneggiare quella parte di popolazione più debole e bisognosa di cure.

Questo tipo di sciopero prevede il passaggio delle farmacie napoletane dal regime di assistenza diretta, fornito normalmente per i farmaci mutuabili, che permetteva ai pazienti muniti di ricetta medica di ricevere i relativi farmaci senza alcun costo - è la stessa ASL a rimborsare successivamente la farmacia -, ad un regime di assistenza indiretta, che durerà fino al 10 ottobre prossimo, secondo il quale i pazienti muniti di ricetta medica dovranno pagare di tasca loro i farmaci, benchè mutuabili. Comunque, ai sensi della Deliberazione N. 3731 della Seduta del 19 dicembre 2003 della Giunta Regionale della Regione Cmapania, le farmacie dovranno continuare a fornire ai pazienti in assistenza diretta quei farmaci considerati "salvavita" così come indicati nella lista che trovate e potete scaricare al seguente link: http://www.federfarmanapoli.it/riservato/A-INDIRETTA-CAMPANIA.pdf. Saranno inoltre, dispensati regolarmente anche gli alimenti per pazienti neuropatici e celiaci, nonché i presidi per l’autocontrollo del diabete. Non va però dimenticato che secondo l'attuale ed eccezionale sistema di assistenza indiretta, in ogni caso, chi, munito di ricetta medica, dovesse acquistare farmaci mutuabili non "salvavita" dovrà sì pagarli al momento, ma ha il diritto di richiedere, poi, il rimborso all'ASL depositandovi l'apposita domanda che potete scaricare al seguente link: http://www.federfarmanapoli.it/riservato/Modello%20di%20Rimborso%20.pdf.

Spero, con questo articolo, di aver dato in qualche modo assistenza a chi dovesse ricevere disagi da questo deplorevole stato di cose.

Giovanni D'Ambrosio

martedì 7 settembre 2010

Anche con le molestie tramite Facebook si può configurare il reato di "stalking"

Per la Cassazione anche i messaggi minacciosi inviati tramite Facebook contribuiscono ad individuare chi commette il reato di "stalking". La VI Sezione penale ha confermato una custodia cautelare ai domiciliari, disposta dal tribunale di Potenza, nei confronti di un ragazzo accusato di "atti persecutori" (stalking) nei confronti della ex fidanzata.

Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 30 agosto 2010 n. 32404

«Continui episodi di molestie, consistiti in telefonate, invii di sms, messaggi di posta elettronica e tramite Facebook, anche nell'ufficio dove lei lavorava» avevano portato il tribunale di Lagonegro nel febbraio 2010 a disporre la custodia cautelare in carcere per l'uomo dopo la denuncia della ragazza. In riforma del provvedimento, poi, il tribunale di Potenza aveva tramutato il carcere in arresti domiciliari. L'amante, non rassegnato, aveva anche minacciato il nuovo compagno della ex spedendogli fotografie di rapporti sessuali della sua precedente relazione.

Invano l'indagato ha fatto ricorso in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di Potenza: i supremi giudici, infatti, con la sentenza n. 32404, hanno confermato il provvedimento ritenendo tali comportamenti «minacciosi e molesti» e «gravi indizi di colpevolezza» anche i messaggi su Facebook, che avevano creato nella vittima «uno stato d'animo di profondo disagio e paura in conseguenza delle vessazioni patite».

Per approfondimenti e scaricare la sentenza integrale vedi il seguente link: http://www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com/ContentGuidaDiritto/Viewer.aspx?cmd=gdcasspenale&IdDocumento=11917651&IdFonteDocumentale=13

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venerdì 3 settembre 2010

In caso di mancato matrimonio...

...balena sempre il pensiero, quasi come fosse un volo pindarico, se sia possibile o meno essere in qualche modo rimborsati degli esborsi sostenuti per i preparativi, farsi restituire i regali fatti in virtù del fidanzamento ufficiale od in vista della cerimonia, ovvero essere risarciti per i danni subiti a causa delle mancate nozze. Ebbene, in alcuni casi la legge riconosce al promesso sposo (o sposa) la possibilità di recuperare i doni fatti o di ricevere un risarcimento al fine di ripristinare la situazione quo ante e poter voltare le spalle con il minor numero di danni alla loro infausta storia.
In realtà, per quanto vi sia una evidente colpa dell'altro, lo sventurato fidanzato non potrà mai ricevere un rimborso totale per gli esborsi effettutati od il risarcimento completo per tutti i danni e disagi subiti . Il motivo sicuramente predominante è che il nostro ordinamento non può in alcun modo comprimere il diritto fondamentale della persona di essere libera di rifiutarsi a contrarre matrimonio fino all'ultimo momento. Rendere eccessivamente gravoso tale rifiuto al punto da far restuire tutto ciò che si è ricevuto e di far risarcire tutti i danni subiti, equivarrebbe a comprimerlo del tutto. A tal proposito il legislatore ha voluto tassativamente prevedere come uniche forme di restituzione e di ristoro quelle di cui agli artt. 80 ed 81 c.c..
L'art. 80 c.c. prevede la restituzione dei doni fatti in caso di mancato matrimonio e va subito chiarito che il momento da cui scattano tali diritti è il cosiddetto "Fidanzamento Ufficiale" con il quale i fidanzati esprimono pubblicamente le loro serie intenzioni di voler intraprendere un percorso che poi li renda maturi per le nozze. Quindi, solo da tale momento, in caso di rottura della coppia, ognuno potrà chiedere all'altro la restituzione dei doni fatti, ma, sia chiaro, esclusivamente di quelli che non potrebbero trovare altra plausibile giustificazione all'infuori del matrimonio.
L'art. 81 c.c., invece, prevede anche un diritto al risarcimento dei danni subiti, ma al fine di essere applicato richiede una vera e propria "Promessa di Matrimonio" fatta per atto pubblico o per scrittura privata da una persona che abbia la capacità a contrarre matrimonio. Al fine di essere applicato, è previsto che vi sia o una mancanza di giusti motivi a non contrarre da parte di uno dei promittenti o che uno di essi, per sua colpa, abbia dato dei giusti motivi per rifiutarlo all'altro. In tali casi, il danno è risarcibile entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti.
Pertanto, possiamo concludere che esiste un tipo di ristoro previsto dal nostro ordinamento per le mancate nozze, ma non ha natura nè contrattuale, nè extracontrattuale ed è unicamente una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giusto motivo.
Per ulteriori approfondimenti vi segnalo il seguente link:http://www.diritto.it/docs/30037-la-promessa-di-matrimonio-e-le-obbligazioni-ad-essa-connesse.
avv. Giovanni D'Ambrosio

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giovedì 2 settembre 2010

Chiarimenti sul fermo amministrativo "DOVEROSI"

Carissimi,
                il Ministero dell'Interno, con la circolare del 25.01.08 n. m/6326150, ci chiarisce - a mio avviso doverosamente - che al conducente che guida un veicolo sottoposto a fermo fiscale sarà applicata solamente una sanzione amministrativa.
Il Ministero con questa circolare spiega che il fermo fiscale non rappresenta "una vera e propria violazione delle norme del codice della strada ma una misura prevista a garanzia di un credito".
La stessa avvocatura generale dello Stato sottolinea che in caso di violazione del fermo fiscale deve essere elevata soltanto la sanzione pecuniaria "senza procedere al sequestro del veicolo".
Successivamente il verbale di accertamento sarà inviato al concessionario della riscossione che ha disposto il fermo fiscale al fine di consentire il pignoramento del veicolo.

Eccovi per esteso la circolare richiamata:

"Ministero dell'Interno
Circolare n. m/6326150 del 25 gennaio 2008
Prot. n. M/6326150-2l
Roma, 25 gennaio 2008
All. n. 2

- AL DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA
Direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato SEDE
e, per conoscenza:
AI PREFETTI DELLA REPUBBLICA LORO SEDI
AL COMMISSARIO DI GOVERNO PER LA PROVINCIA DI TRENTO
AL COMMISSARIO DI GOVERNO PER LA PROVINCIA DI BOLZANO
AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA AOSTA

OGGETTO: Fermo amministrativo di beni mobili registrati ai sensi dall'art. 86 del D.P.R. 602/73 e conseguente applicazione dell'art. 214, comma 8, del D.lgs. n. 285/92 (Codice della Strada).

Con nota in data 17 ottobre u.s., che si allega in copia, questo Ufficio ha sottoposto all'attenzione dell'Avvocatura Generale dello Stato perplessità e dubbi emersi in relazione alle disposizioni indicate in oggetto.
In particolare si è chiesto all'Organo legale di dirimere il contrasto interpretativo, insorto con l'Agenzia delle entrate, in ordine all'individuazione dell'autorità competente a irrogare le sanzioni previste dal combinato disposto dell'art. 86, comma 3, d.P.R. n. 602/1973 e dell'art. 214, comma 8, d.lgs. 285/1992. Come noto, il capo III del D.P.R. n. 602/1973 detta norme particolari in materia di espropriazioni di beni registrati, statuendo all'art. 86, comma 3, che "chiunque circola con veicoli ...... sottoposti a fermo è soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285". A sua volta, il citato articolo dei codice della strada prevede testualmente che "chiunque circola con un veicolo sottoposto a fermo amministrativo, "salva l'applicazione delle sanzioni penali per la violazione degli obblighi posti in capo al custode, è soggetto alla sanzione amministrativa dei pagamento di una somma da euro 656,00 ad euro 2628,00. E' disposta, inoltre, la confisca del veicolo".
In assenza di specifiche indicazioni, si è più volte verificato che gli organi di polizia, all'atto dell'accertamento della violazione, abbiano disposto il sequestro del veicolo, ai sensi dell'art. 213 del D.Leg. 285/1992, ed abbiano trasmesso i relativi verbali alla Prefetture, nell'erronea presunzione che, trattandosi di sanzioni previste dal codice della strada, fosse il Prefetto l'autorità competente ad adottare il provvedimento ablatorio.
In realtà, questa Amministrazione ritiene che non vi siano i presupposti per attribuire ai Prefetto la competenza ad irrogare le sanzioni conseguenti alla violazione del divieto di circolazione dei veicoli sottoposti a fermo "fiscale", non trattandosi di una vera e propria violazione delle norme dei codice della strada, ma di una misura prevista a garanzia di un credito.
In data 6 dicembre u.s., l'Avvocatura Generale, auspicando comunque un intervento normativo che riordini la materia particolarmente complessa, si è espressa sulla questione.
In proposito, l'Organo legale sostiene che, nel caso di accertamento della violazione del combinato disposto dell'art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 602/73 con l'art. 214, comma 8 del C.d.s, gli organi di polizia debbano elevare verbale di contestazione, applicando la sola sanzione pecuniaria, senza procedere al sequestro del veicolo. Gli stessi devono poi trasmettere il verbale di accertamento della violazione al concessionario della riscossione che ha disposto il c.d. "fermo fiscale", al fine di consentire il pignoramento del veicolo. In ogni caso competente a valutare eventuali ricorsi di merito è il Prefetto.
L'orientamento così espresso, seppur basato su argomentazioni non del tutto pacifiche, tuttavia, risolve, in via definitiva, dubbi e perplessità in ordine all'applicazione della sanzione accessoria della confisca, prevista dalla recente modifica dell'art. 214, comma 8, del C.d.s., nell'ipotesi di violazione dell'art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 602/73.
Alla luce di quanto premesso, si ritiene opportuno uniformare l'attività sanzionatoria al citato parere dell'Avvocatura Generale.

IL DIRETTORE CENTRALE PENTA"

mercoledì 1 settembre 2010

Guidare ubriachi potrebbe costare il sequestro dell'auto in leasing

CORTE DI CASSAZIONE sentenza n°10688/2010, depositata il 18 marzo 2010.

L'auto condotta in stato di ebbrezza può essere sequestrata – in vista della confisca – anche se è in leasing, e quindi non appartiene al guidatore. La quarta sezione penale della Cassazione (sentenza 10688/2010, depositata il 18 marzo 2010) allarga il perimetro della confisca come sanzione ulteriormente afflittiva per chi è sorpreso ubriaco al volante, confermando lo spossessamento di una Audi Q7 fermata a un controllo stradale il 10 giugno scorso a Fermo.
I giudici di merito non avevano avuto dubbi nel disporre e poi mantenere il sequestro preventivo: alla decisione del Gip si era associato qualche settimana dopo lo stesso Tribunale del Riesame, che aveva respinto la tesi difensiva secondo cui il veicolo era intestato a terzi (la società di leasing, appunto), e che il periculum in mora (cioè il rischio di nuove violazioni all'articolo 186 del Codice della strada) sarebbe stato neutralizzato dalla sospensione della patente del guidatore.
La Cassazione, nei motivi sintetici per respingere l'ulteriore impugnazione, ha sottolineato che il bene detenuto in forza del contratto di leasing «appartiene al soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del bene stesso; e anche se non è «proprietà», questo stato le somiglia molto perché è di fatto un «diritto a godere del bene, sulla base di un titolo che esclude i terzi».
Pertanto, «appare evidente la legittimità del sequestro di un veicolo il cui conducente sorpreso alla guida in stato di ebbrezza (...) ne abbia la disponibilità in forza di un contratto di leasing». Lo stesso periculum in mora di reiterazione può essere garantito solo dal sequestro, atteso che la sospensione della patente è un provvedimento, per sua natura, temporaneo. Quanto ai diritti della società di leasing, l'auto deve essere dissequestrata solo di fronte alla dimostrazione della cessazione del contratto di locazione finanziaria.
La sentenza del 18 marzo quindi conferma una linea di rigore nell'applicare la confisca del veicolo, introdotta dal pacchetto sicurezza del 2008 (Dl 92/08) per i casi più gravi di ebbrezza (articolo 186 del Codice della strada) e per la guida sotto l'effetto di stupefacenti (articolo 187). La confisca crea una serie di problemi visto che, per principio generale, non può scattare quando la circolazione del veicolo avviene contro la volontà del proprietario o quando questi è comunque estraneo all'infrazione, che accade quando il mezzo è intestato a soggetto diverso dal conducente. È il caso non solo di leasing e noleggio, ma anche della cointestazione. Sotto questo profilo, si sono lette sentenze molto garantiste, come quella che un anno fa a Bologna escluse la confiscabilità solo perché il trasgressore era in comunione di beni con la moglie (in questo caso, la comproprietà esiste per legge). Ma la Cassazione pare aver ormai adottato una linea ben più restrittiva.
Lo si è visto a partire dalla sentenza 45938 del 1° dicembre 2009: secondo la quarta sezione penale, per non far scattare la confisca occorre che il veicolo sia integralmente intestato a un terzo estraneo, perché la cointestazione lascerebbe presumere che il trasgressore utilizzi il mezzo non solo occasionalmente, e quindi se ne conservasse la disponibilità potrebbe utilizzarlo ancora in modo da costituire pericolo.

Amministrazione condannata a risarcire anche il danno biologico ai militari…

…colpiti dal cancro dopo l'esposizione all'uranio impoverito Il militare colpito da un tumore dopo essere stato esposto all'uranio impoverito durante missioni all'estero deve essere risarcito dalla pubblica amministrazione anche del danno biologico. Lo ha deciso il Tar della Campania che, con la sentenza 17232 depositata il 5 agosto scorso, ha accolto la domanda di risarcimento di un militare che aveva sviluppato un tumore alla tiroide dopo aver operato in Kosovo tra il 2000 e il 2002. L'uomo aveva presentato una fitta documentazione medico legale che provava la dipendenza della sua patologia dall'esposizione all'uranio impoverito durante la sua permanenza nei Balcani, una sostanza radioattiva contenuta negli armamenti utilizzati dalle forze NATO durante la guerra in Kosovo del 1999. Il soldato aveva ricevuto l'equo indennizzo per infermità da causa di servizio, ma non il risarcimento per il danno biologico patito. La decisione del Tar partenopeo si inserisce nella delicata vicenda della cosiddetta "sindrome dei Balcani", che ha visto decine di soldati impegnati nel conflitto NATO ammalarsi di patologie tumorali legate all'esposizione alle radiazioni. I giudici campani, dopo aver ribadito che la domanda di risarcimento rientrava pienamente nella giurisdizione amministrativa, in quanto la responsabilità dell'amministrazione era "correlata alla violazione dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori dipendenti", hanno condannato il Ministero della Difesa a risarcire il danno biologico sofferto dal militare.

Ilaria Piazza cassazione.net

Attenzione: in autostrada transitare più volte nelle corsie riservate, senza il telepass, può integrare il delitto di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.)

TRIBUNALE PENALE DI NOLA, sentenza del 23 giugno 2010.

Il comportamento dell'utente che si introduce ripetutamente in autostrada transitando nelle apposite corsie riservate al “telepass”, senza essere munito di tale mezzo di pagamento elettronico, integra l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 641 c.p. di insolvenza fraudolenta.

Art. 641 c.p.: Insolvenza fraudolenta.
Elementi oggettivi: '"assunzione dell'obbligazione", "dissimulazione dello stato di insolvenza", "inadempimento".
Elemento soggettivo: dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza dello stato di insolvenza e dall'elemento volitivo, costituito dal preordinato proposito di non adempiere – Transito nelle apposite corsie riservate “telepass” senza essere munito di mezzo elettronico: sussistenza del reato.

Segui questo link per trovare la sentenza integrale:
http://www.iussit.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1440&Itemid=1

Nulla la richiesta di versamento degli interessi dei tributi non preceduta dall'avviso di accertamento

CORTE DI CASSAZIONE, sentenza n°17613, del 28 luglio 2010.

Nel caso di cartella di pagamento per omesso versamento di tributi, è nulla la pretesa degli interessi maturati senza la previa notifica di un avviso di accertamento. Infatti, “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, va interpretato nel senso che i casi nello stesso indicati, in relazione ai quali è consentito all'Ufficio tributario l'iscrizione a ruolo di tributi, senza la preventiva notifica dell'avviso di accertamento, devono ritenersi tassativi e non suscettibili di ampliamento, in quanto comportanti una compressione dei diritti di difesa del cittadino e che tra le ipotesi previste nelle lettere da a) a e) dell'articolo in esame non sono certamente ricompresi gli interessi e le sopratasse”.
Vedi anche:
http://www.iussit.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1475&Itemid=1