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lunedì 13 dicembre 2010

La violenza usata contro la madre è reato anche verso i figli

Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 22 ottobre-22 novembre 2010 n. 41142
Il padre che compie atti di violenza sulla madre risponde anche del reato di maltrattamento sui figli. I giudici della Cassazione infliggono una condanna esemplare, per violenza verso la convivente e i figli della coppia, a carico di un uomo che davanti ai bambini aggrediva sia verbalmente sia fisicamente la loro mamma. Un comportamento che aveva indotto nel figlio maschio il rifiuto di andare a scuola per paura che durante la sua assenza la madre venisse picchiata senza che lui potesse fare nulla per difenderla, mentre al figlia femmina aveva cominciato a soffrire di bulimia. Gli ermellini respingono la tesi della difesa che negava l'esistenza di un nesso causa-effetto tra la patologia che si era manifestata nella minore e l'atteggiamento violento del padre nei confronti della sua convivente, che doveva considerarsi  l'unica destinataria degli scatti d'ira del suo compagno. La Suprema corte respinge la lettura "a compartimenti stagno" fatto su quanto accadeva in famiglia, insistendo invece sullo stato di sofferenza dei figli come causa diretta dei raptus paterni. Gli atteggiamenti vessatori imposti ai bambini  - spiega il Collegio - creano inevitabilmente un clima di disagio anche nel caso non siano direttamente rivolti verso i minori che assistono alla violenza. Il reato di maltrattamenti - specificano ancora gli ermellini - si configura non solo in presenza di un comportamento attivo, ma anche quando si mettono in atto delle omissioni come avviene nel genitore che non si cura dell'educazione e dell'assistenza dei propri figli. Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il ricorrente era andato addirittura oltre minacciando la madre di ucciderle i figli. Questo in presenza dei bambini.

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sabato 27 novembre 2010

Essere disoccupato e indigente non esonera dal mantenere i figli

Tribunale di Bari - Sezione I civile - Sentenza 27 luglio 2010 n. 2648
Lo stato di disoccupazione non esime dalla corresponsione di un contributo per il mantenimento dei figli; né tale contributo può essere inferiore a 170 euro mensili per ciascun minore «atteso che tale importo rappresenta, secondo una valutazione basata sulla comune esperienza, la soglia minima di sopravvivenza». A questa conclusione sono arrivati i giudici del tribunale di Bari nella sentenza n. 2648/2010, con la quale si dichiara la separazione personale dei coniugi e si dispone l'affidamento condiviso delle figlie minorenni.
L'ex marito, che in sede di interrogatorio ha dichiarato di lavorare saltuariamente in campagna per 35 euro al giorno (senza specificare le giornate lavorative complessive in un anno), dovrà anche versare un contributo di mantenimento all'ex moglie, casalinga.


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mercoledì 10 novembre 2010

Il poliziotto non può accedere alle Banche Dati del Ministero per scopi personali

Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 22 settembre - 10 novembre 2010 n.39620


L'agente della polizia stradale non può consultare la banca dati del ministero per avere notizie su vetture a scopi personali. La Corte di cassazione condanna per accesso abusivo ad un sistema informatico (ex art. 615ter c.p.) un agente della polstrada che aveva utilizzato la propria password personale per entrare nel Ced del ministero dell'Interno, allo scopo di raccogliere informazioni su una Bmw. L' agente aveva  giustificato l'accesso ai dati riservati con la necessità di fare ulteriori verifiche su un'autovettura che era stata già controllata da una pattuglia sull'autostrada il 22 dicembre del 2001. La circostanza è risultata non veritiera perché l’autoveicolo su cui il poliziotto stava indagando era stato rubato il 29 novembre del 2001 e ritrovato in Albania il 3 marzo dell'anno successivo. Secondo gli ermellini non c'era dunque dubbio che le ragioni dell'accesso alla banca dati del ministero dell'Interno fossero del tutto estranee alle mansioni svolte dal ricorrente.
Testo integrale della sentenza.

lunedì 18 ottobre 2010

E' responsabile il possessore del cane che aggredisce i passanti


Nel caso di aggressione di una ragazza, da parte di un cane, dell’eventuale lesione ne risponde il possessore dell’animale. Lo ha stabilito la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 27 settembre 2010, n. 34813 con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un uomo contro la decisione dei giudici territoriali con cui era stato condannato per lesioni colpose in conseguenza del morso che il suo cane aveva dato ad una passante.
In tal modo viene respinta la tesi dell’imputato, il quale sosteneva di non essere responsabile del cane in quanto quest'ultimo era di proprietà della madre e della nonna, e di essere intervenuto solo quando aveva sentito le urla della ragazza allo scopo di riportare il cane nell’abitazione.
I giudici di legittimità i quali hanno sottolineato come, in tema di custodia di animali, "l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 c.p. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico".
Nella specie, continuano i giudici, l'animale era sicuramente da ritenersi nel possesso dell'imputato, come è emerso da determinanti dati circostanziali. Ad esempio, era stato proprio l’uomo, che abitava a casa della madre e si rapportava quotidianamente con l'animale, a richiamare il cane, a dare spiegazioni ai verbalizzanti e a portare il cane dai veterinari per i dovuti accertamenti.
Ecco di seguito la sentenza per esteso.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 2 luglio - 27 settembre 2010, n. 34813
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza del 19 maggio 2009 il Tribunale di Palermo dichiarava V.M. colpevole di lesioni colpose in danno di M.L. P. che, in data ****, era stata morsa dal cane appartenente all'imputato, e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 100,00 Euro di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale deduce violazione di legge e difetto di motivazione per la ritenuta sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile all'imputato e l'evento lesivo.
In sostanza si duole che si sia giunti alla affermazione della sua responsabilità senza tenere conto che il cane era della famiglia, più precisamente era di proprietà della madre o della nonna, e che egli era intervenuto solo quando aveva sentito le urla della ragazza, per riportare il cane nella abitazione.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha osservato che l'animale era sicuramente nel possesso del V. e ciò ha desunto dal fatto che fu proprio il V. a richiamare il cane, a dare spiegazioni ai verbalizzanti e a portare l'animale dai veterinari per i controlli; che egli abitava nella casa della madre e si rapportava quotidianamente con l'animale che gli ubbidiva e che portava a passeggio. Correttamente dunque egli è stato ritenuto responsabile dell'omessa custodia dell'animale, obbligo che ai sensi dell'art. 672 c.p. sorge in capo al possessore, indipendentemente dalla proprietà dell'animale, possesso da intendersi in senso ampio come già chiarito da questa stessa sezione con sentenza del 16.12.1998 n. 599 rv 212404, secondo cui "In tema di custodia di animali, l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 cod. pen. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico. (Fattispecie in tema di responsabilità per lesioni colpose cagionate dal morso di un cane)".
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., lett. D per intervenuta rinuncia.
Segue, come prescritto dall'art. 616 stesso codice, la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 (mille/00), equitativamente determinata, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000, per escludere tale ultima condanna.
                                                                          P.Q.M.                                       
LA CORTE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

venerdì 15 ottobre 2010

Non è licenziabile il lavoratore che, avvisando i propri colleghi della propria malattia, abbandona il posto di lavoro

Corte di cassazione - Sezione Lavoro - Sentenza 14 ottobre 2010 n. 21215.
Non può essere licenziato il lavoratore che abbandona il posto di lavoro avvisando i colleghi della propria malattia. Lo ha affermato la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 21215/2010 secondo la quale il comportamento del dipendente di abbandono del servizio per motivi di salute e di prolungamento dell'assenza anche nei giorni seguenti si può ritenere giustificato, su di un piano di buona fede, dal fatto che l'interessato era reduce da un grave infortunio e al momento del suo allontanamento aveva denunciato disturbi tali che i suoi stessi colleghi, seppure non autorizzati a concedergli permessi, lo avevano invitato a tornare a casa.

senteza integrale

sabato 9 ottobre 2010

Associazioni e Comitati

 
Le Associazioni ed i Comitati possono essere definiti gruppi di persone liberamente costituite, che svolgono volontariamente la loro attività per il conseguimento di uno scopo comune, diverso dallo scopo lucrativo o mutualistico.
Secondo l'art. 18 della Costituzione “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione,  per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete o quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni a carattere militare”. Tramite le Associazioni ed i Comitati i cittadini possono perseguire qualunque scopo non espressamente vietato dalla legge: ludico, culturale, sportivo, politico, sociale, ecc ..
La costituzione assicura e garantisce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente, essendo tali enti un  mezzo per il pieno sviluppo della persona umana e per partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.

E' IMPORTANTE SAPERE CHE NON E' NECESSARIO AVVALERSI DELL'ASSISTENZA DI UN NOTAIO PER COSTITUIRE UN'ASSOCIAZIONE OD UN COMITATO (a tal fine invito a consultare l'articolo "Costituire un'Associazione").
Per la loro costituzione non è necessaria alcuna autorizzazione, richiesta o formalità. Anche un accordo orale tra più persone può integrare la costituzione di una associazione.

Questi enti non possono compiere atti o perseguire fini che sono considerati reati dal codice penale.
Tali enti  sono regolati dall'atto costitutivo e dallo statuto (che deve avere determinati requisiti fiscali e legali), con cui le parti si vincolano a fornire il proprio contributo personale o patrimoniale  per il conseguimento di uno scopo comune. Tali atti sono quindi assimilabili ad un vero e proprio contratto stipulato tra i soci.
Nello statuto e atto costitutivo vengono regolate l'organizzazione, le assemblee, la responsabilità e poteri  dei dirigente, la gestione del patrimonio  e tutto quanto è inerente alla vista e ai bisogni dell'ente.
I principali requisiti delle associazioni e dei comitati sono: un gruppo di persone che si riunisce per conseguire uno scopo comune, la volontarietà di questa adesione, un organizzazione e il contributo materiale e personale dei soci.

Inoltre sono vietate le associazioni paramilitari (per ovvi motivi) e quelle segrete. In quest'ultimo caso è riferito sia al vincolo di segretezza riguardo l'appartenenza dei soci all'ente, sia agli scopi e ai mezzi usati, che non vengono esplicitati all'esterno dell'associazione stessa.

Per avere maggiori informazioni su come costituire, amministrare e portare a termine un'Associazione od un Comitato invito i lettori a visitare Associazioni e Comitati

giovedì 7 ottobre 2010

Anche in assenza della Planimetria non si può negare la D.I.A.

Tar Lazio - Sezione II - Sentenza 5 ottobre 2010 n. 32648
L'Ente comunale non può negare il rilascio di una Dia solo per l'assenza della planimentria o della sua sottoscrizione nella richiesta, invece ne può chiedere l'integrazione. Infatti, la mancata presentazione della planimetria è una semplice irregolarità che non può far scattare il diniego nei confronti della Dia. I giudici del Tar Lazio, con la sentenza n. 32684, hanno accolto l'impugnazione del provvedimento con cui era stata rifiutata la denuncia di inizio attività presentata per l'espletamento dell'attività ortofrutticola. Secondo il tribunale è giusta la censura sulla violazione dell'articolo 3 della legge n. 241 del 1990 oltre che all'eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti. L'atto impugnato, infatti, è stato emesso per effetto dell'omessa sottoscrizione della planimetria: una "assenza" che doveva essere derubricata a mera irregolarità documentale suscettibile di integrazione dopo l'accertamento della conformità dello stato dei luoghi, ma che non poteva considerarsi, di per sé sola, quale causa di diniego.
Ad ogni modo, non bisogna mai abbassare la guardia. I soprusi e le sopraffazioni da parte di chi ha il "potere" sono sempre dietro l'angolo, ma questo è, comunque, un tassello a favore della legalità.
Per ulteriori approfondimenti e per il testo integrale della sentenza invito a visitare il seguente link:
Giovanni D'Ambrosio

mercoledì 22 settembre 2010

Agli Stranieri regolarmente e stabilmente presenti sul territorio va riconosciuta l'Indennità di accompagnamento se ricorrono i requisiti

Tribunale di Ivrea, sentenza 3 marzo 2010 n. 26.



È fondata la domanda della ricorrente, cittadina extracomunitaria residente nel territorio italiano da oltre cinque anni, a veder accertato e riconosciuto il diritto alla retrodatazione dell'indennità di accompagnamento a decorrere dal mese successivo alla presentazione della domanda, per effetto del riconoscimento della sussistenza dei requisiti sanitari richiesti a tal fine dalla commissione medica, e conseguentemente dichiarare l'illegittimità del provvedimento dell'Inps che abbia fatto decorrere la corresponsione della prestazione in questione solo dal giorno successivo all'ottenimento della Carta di soggiorno permanente, rilasciata dal comune su presupposto della residenza almeno quinquennale nel Paese.



Il giudice del lavoro del tribunale ordinario di Ivrea, nella sentenza 26/2010, ha affermato che, in applicazione dell'articolo 19 del Dlgs n. 30/2007, hanno diritto alla corresponsione dell'indennità di accompagnamento tutti i cittadini comunitari che risiedano nel territorio italiano, a partire dal terzo mese di soggiorno in poi. In tal modo si è voluto riconoscere il diritto in questione a tutti i cittadini che non siano entrati in maniera transitoria nel Paese, grazie al permesso di soggiorno, ma abbiano un legale di maggiore stabilità con il territorio, stabilità che può ritenersi raggiunta anche nel caso in cui il soggiorno sia protratto per poco più di tre mesi.
In conclusione, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno ed ai minori iscritti nei medesimi documenti, vanno riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini italiani cui devono ritenersi equiparati, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni economiche ed assistenziali. L'indennità di accompagnamento rientra, infatti, in tutte quelle prestazioni obbligatoriamente riconosciute sulla scorta di specifici presupposti, a chiunque sia legittimamente presente in modo stabile nel territorio italiano.

lunedì 20 settembre 2010

Attenzione ragazzi! Una bocciatura potrebbe costare la perdita dell'assegno di mantenimento...

Può un padre togliere l'assegno di mantenimento al figlio a causa dell'ennesimo insuccesso scolastico? La procura di Busto Arsizio ha rigettato la denuncia fatta nei confronti di un genitore. La sua colpa: aver chiuso i cordoni della borsa per spingere il figlio a studiare.

Studia oppure non ti farò uscire per un mese. Questa volta la bocciatura è costata decisamente più di un periodo di "reclusione" in casa o del mancato acquisto di un motorino. Roberto, 19 anni, studia in un istituto tecnico di Gallarate. Di fronte alla seconda bocciatura il padre, separato dalla madre, non ci ha più visto e ha deciso di sospendere l'assegno di mantenimento di 1000 euro al mese. Proprio per questo il ragazzo ha deciso di denunciare penalmente il padre.

TROVATI UN LAVORO

La procura di Busto Arsizio, però, non ha ravvisato motivi per dar seguito alla denuncia. Nella decisione dell'uomo il pm Luca Gaglio ha individuato la volontà di aiutare il figlio a maturare e non quella di sottrarsi agli obblighi imposti per legge. La decisione del padre, imprenditore, sarebbe stata preannunciata al figlio in una lettera inviatagli durante l'anno scolastico, quando la bocciatura iniziava a profilarsi all'orizzonte. Trovati un lavoro, gli avrebbe consigliato il padre. Una decisione in conflitto con altre sentenze del recente passato in cui i giudici avevano stabilito il diritto al mantenimento ben oltre il raggiungimento della maggiore età. Toccherà ora al gip archiviare definitivamente il caso. La questione continuerà però sul piano civile perché agli obblighi decisi dalla sentenza di matrimonio nessuna delle due parti può sottrarsi in modo unilaterale. E chissà che di fronte a un impegno formale del ragazzo il padre non decida di ritornare sui suoi passi.

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mercoledì 15 settembre 2010

La cartella esattoriale notificata direttamente tramite raccomandata è nulla

Con la sentenza n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, la Commissione tributaria provinciale di Lecce ha affermato che è inesistente la notifica a mezzo posta degli atti di Equitalia eseguita direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato. E' inesistente la cartella esattoriale notificata da Equitalia a mezzo di raccomandata!
La vicenda trae origine dall’omesso versamento d’imposte (IVA, IRPEF e IRAP), contestato a un contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria. Essendo decorsi gli ordinari termini per il pagamento del richiesto, il Concessionario iscrive a ruolo il debito tributario e, successivamente, decorsi gli ordinari termini di legge, iscrive ipoteca sugli immobili del contribuente, ai sensi dell'art. 77, D.P.R. n. 602/73. Tale iscrizione, ritenuta illegittima dallo stesso contribuente, viene da questo tempestivamente impugnata.

Il contribuente, in sede d’impugnazione, oltre a mettere in dubbio la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, contesta l’inesistenza della notifica del provvedimento stesso, poiché questo non è stato notificato tramite agente notificatore abilitato ed autorizzato.

Difatti, sebbene l’art. 26, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rubricato “Notificazione della cartella di pagamento”, preveda la possibilità, per gli Agenti della riscossione, di notificare i propri atti per posta mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, esso, tuttavia, individua espressamente quali agenti notificatori gli ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, i messi comunali o gli agenti della polizia municipale. In base all'art. 26, comma 1, citato, quindi, secondo il contribuente, la notificazione deve sempre essere effettuata da un agente notificatore abilitato, il quale può anche avvalersi del servizio postale, mentre sono certamente illegittime le notifiche eseguite a mezzo del servizio postale direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato. Poiché, tuttavia, nel caso de quo, le condizioni di cui all’art. 26 cit. non sono state rispettate, il contribuente eccepisce l’inesistenza della notifica dell’atto impugnato.

Avverso tale eccezione, poi, l’Agente della riscossione, a sostegno della legittimità del suo operato, invoca, invece, il solo secondo periodo del succitato art. 26, primo comma, secondo il quale "la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento".

Tuttavia, stando al parere della Commissione adita, mentre il primo periodo del comma 1 dell'art. 26 si limiterebbe a individuare - con un’elencazione tassativa - i soggetti legittimati all'esecuzione della notifica, il secondo periodo del comma 1 indicherebbe il modo attraverso il quale i soggetti di cui al periodo precedente possono eseguirla. In pratica, pur rimanendo fermi i soggetti autorizzati, questi, a loro volta, invece che direttamente, possono ricorrere all'ausilio del servizio postale per la notifica degli atti.

In ragione di ciò, quindi, la Commissione tributaria, accogliendo le doglianze del contribuente, poiché nel caso de quo non risultano rispettate le condizioni tassative di cui all’art. 26 cit., dichiara la notifica dell’atto impugnato giuridicamente inesistente.

Orbene, alla luce di quanto enunciato, si può concludere rilevando che, innanzitutto, la sentenza della C.T.P. di Lecce n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, risulta innovativa su un tema delicato qual è per l’appunto quello delle notifiche e, nello specifico di quelle a mezzo posta, colmo di incertezze, come da ultimo statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze n. 9493 e n. 9377 del 2009, che tuttavia hanno affrontato l’argomento relativamente all’aspetto oggettivo e non, come nel caso de quo, soggettivo.

Ancor più importanti, infine, sono gli effetti che la sentenza in commento, laddove confermata dai giudici di grado superiore, potrebbe produrre nei confronti dell’Agente della riscossione, che, in ragione di tale pronuncia, assisterebbe alla dichiarazione d’inesistenza di tutte le notifiche, relative ai suoi atti, eseguite per posta direttamente e non da soggetto all’uopo abilitato così come prescritto dalla norma, peraltro con possibile condanna alle spese, come nel caso de quo. (Commissione tributaria provinciale Lecce, Sentenza, Sez. V, 16/11/2009, n. 909)

mercoledì 8 settembre 2010

Chiarezza sullo sciopero delle farmacie in assistenza indiretta

Cari lettori,
                    con mio sommo dispiacere, mi ritrovo a dover affrontare il problema dello sciopero indetto dalla Federfarma che dallo scorso 6 settembre affligge Napoli con il serio pericolo di dilagare anche oltre in Campania. L'esigenza di questo articolo nasce dall'avvertita necessità di aiutare a fare un pò di chiarezza in una situazione di assoluto caos generato dall'eccezionale situazione di insolvenza dell'ASL napoletana nei confronti delle farmacie e, soprattutto, dall'incredibile scarsità delle notizie diffuse (assoluto disinteresse per il problema dei media nazionali e locali) a fronte di un così grave problema che, guarda caso, va a danneggiare quella parte di popolazione più debole e bisognosa di cure.

Questo tipo di sciopero prevede il passaggio delle farmacie napoletane dal regime di assistenza diretta, fornito normalmente per i farmaci mutuabili, che permetteva ai pazienti muniti di ricetta medica di ricevere i relativi farmaci senza alcun costo - è la stessa ASL a rimborsare successivamente la farmacia -, ad un regime di assistenza indiretta, che durerà fino al 10 ottobre prossimo, secondo il quale i pazienti muniti di ricetta medica dovranno pagare di tasca loro i farmaci, benchè mutuabili. Comunque, ai sensi della Deliberazione N. 3731 della Seduta del 19 dicembre 2003 della Giunta Regionale della Regione Cmapania, le farmacie dovranno continuare a fornire ai pazienti in assistenza diretta quei farmaci considerati "salvavita" così come indicati nella lista che trovate e potete scaricare al seguente link: http://www.federfarmanapoli.it/riservato/A-INDIRETTA-CAMPANIA.pdf. Saranno inoltre, dispensati regolarmente anche gli alimenti per pazienti neuropatici e celiaci, nonché i presidi per l’autocontrollo del diabete. Non va però dimenticato che secondo l'attuale ed eccezionale sistema di assistenza indiretta, in ogni caso, chi, munito di ricetta medica, dovesse acquistare farmaci mutuabili non "salvavita" dovrà sì pagarli al momento, ma ha il diritto di richiedere, poi, il rimborso all'ASL depositandovi l'apposita domanda che potete scaricare al seguente link: http://www.federfarmanapoli.it/riservato/Modello%20di%20Rimborso%20.pdf.

Spero, con questo articolo, di aver dato in qualche modo assistenza a chi dovesse ricevere disagi da questo deplorevole stato di cose.

Giovanni D'Ambrosio

martedì 7 settembre 2010

Anche con le molestie tramite Facebook si può configurare il reato di "stalking"

Per la Cassazione anche i messaggi minacciosi inviati tramite Facebook contribuiscono ad individuare chi commette il reato di "stalking". La VI Sezione penale ha confermato una custodia cautelare ai domiciliari, disposta dal tribunale di Potenza, nei confronti di un ragazzo accusato di "atti persecutori" (stalking) nei confronti della ex fidanzata.

Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 30 agosto 2010 n. 32404

«Continui episodi di molestie, consistiti in telefonate, invii di sms, messaggi di posta elettronica e tramite Facebook, anche nell'ufficio dove lei lavorava» avevano portato il tribunale di Lagonegro nel febbraio 2010 a disporre la custodia cautelare in carcere per l'uomo dopo la denuncia della ragazza. In riforma del provvedimento, poi, il tribunale di Potenza aveva tramutato il carcere in arresti domiciliari. L'amante, non rassegnato, aveva anche minacciato il nuovo compagno della ex spedendogli fotografie di rapporti sessuali della sua precedente relazione.

Invano l'indagato ha fatto ricorso in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di Potenza: i supremi giudici, infatti, con la sentenza n. 32404, hanno confermato il provvedimento ritenendo tali comportamenti «minacciosi e molesti» e «gravi indizi di colpevolezza» anche i messaggi su Facebook, che avevano creato nella vittima «uno stato d'animo di profondo disagio e paura in conseguenza delle vessazioni patite».

Per approfondimenti e scaricare la sentenza integrale vedi il seguente link: http://www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com/ContentGuidaDiritto/Viewer.aspx?cmd=gdcasspenale&IdDocumento=11917651&IdFonteDocumentale=13

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venerdì 3 settembre 2010

In caso di mancato matrimonio...

...balena sempre il pensiero, quasi come fosse un volo pindarico, se sia possibile o meno essere in qualche modo rimborsati degli esborsi sostenuti per i preparativi, farsi restituire i regali fatti in virtù del fidanzamento ufficiale od in vista della cerimonia, ovvero essere risarciti per i danni subiti a causa delle mancate nozze. Ebbene, in alcuni casi la legge riconosce al promesso sposo (o sposa) la possibilità di recuperare i doni fatti o di ricevere un risarcimento al fine di ripristinare la situazione quo ante e poter voltare le spalle con il minor numero di danni alla loro infausta storia.
In realtà, per quanto vi sia una evidente colpa dell'altro, lo sventurato fidanzato non potrà mai ricevere un rimborso totale per gli esborsi effettutati od il risarcimento completo per tutti i danni e disagi subiti . Il motivo sicuramente predominante è che il nostro ordinamento non può in alcun modo comprimere il diritto fondamentale della persona di essere libera di rifiutarsi a contrarre matrimonio fino all'ultimo momento. Rendere eccessivamente gravoso tale rifiuto al punto da far restuire tutto ciò che si è ricevuto e di far risarcire tutti i danni subiti, equivarrebbe a comprimerlo del tutto. A tal proposito il legislatore ha voluto tassativamente prevedere come uniche forme di restituzione e di ristoro quelle di cui agli artt. 80 ed 81 c.c..
L'art. 80 c.c. prevede la restituzione dei doni fatti in caso di mancato matrimonio e va subito chiarito che il momento da cui scattano tali diritti è il cosiddetto "Fidanzamento Ufficiale" con il quale i fidanzati esprimono pubblicamente le loro serie intenzioni di voler intraprendere un percorso che poi li renda maturi per le nozze. Quindi, solo da tale momento, in caso di rottura della coppia, ognuno potrà chiedere all'altro la restituzione dei doni fatti, ma, sia chiaro, esclusivamente di quelli che non potrebbero trovare altra plausibile giustificazione all'infuori del matrimonio.
L'art. 81 c.c., invece, prevede anche un diritto al risarcimento dei danni subiti, ma al fine di essere applicato richiede una vera e propria "Promessa di Matrimonio" fatta per atto pubblico o per scrittura privata da una persona che abbia la capacità a contrarre matrimonio. Al fine di essere applicato, è previsto che vi sia o una mancanza di giusti motivi a non contrarre da parte di uno dei promittenti o che uno di essi, per sua colpa, abbia dato dei giusti motivi per rifiutarlo all'altro. In tali casi, il danno è risarcibile entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti.
Pertanto, possiamo concludere che esiste un tipo di ristoro previsto dal nostro ordinamento per le mancate nozze, ma non ha natura nè contrattuale, nè extracontrattuale ed è unicamente una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giusto motivo.
Per ulteriori approfondimenti vi segnalo il seguente link:http://www.diritto.it/docs/30037-la-promessa-di-matrimonio-e-le-obbligazioni-ad-essa-connesse.
avv. Giovanni D'Ambrosio

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giovedì 2 settembre 2010

Chiarimenti sul fermo amministrativo "DOVEROSI"

Carissimi,
                il Ministero dell'Interno, con la circolare del 25.01.08 n. m/6326150, ci chiarisce - a mio avviso doverosamente - che al conducente che guida un veicolo sottoposto a fermo fiscale sarà applicata solamente una sanzione amministrativa.
Il Ministero con questa circolare spiega che il fermo fiscale non rappresenta "una vera e propria violazione delle norme del codice della strada ma una misura prevista a garanzia di un credito".
La stessa avvocatura generale dello Stato sottolinea che in caso di violazione del fermo fiscale deve essere elevata soltanto la sanzione pecuniaria "senza procedere al sequestro del veicolo".
Successivamente il verbale di accertamento sarà inviato al concessionario della riscossione che ha disposto il fermo fiscale al fine di consentire il pignoramento del veicolo.

Eccovi per esteso la circolare richiamata:

"Ministero dell'Interno
Circolare n. m/6326150 del 25 gennaio 2008
Prot. n. M/6326150-2l
Roma, 25 gennaio 2008
All. n. 2

- AL DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA
Direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato SEDE
e, per conoscenza:
AI PREFETTI DELLA REPUBBLICA LORO SEDI
AL COMMISSARIO DI GOVERNO PER LA PROVINCIA DI TRENTO
AL COMMISSARIO DI GOVERNO PER LA PROVINCIA DI BOLZANO
AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA AOSTA

OGGETTO: Fermo amministrativo di beni mobili registrati ai sensi dall'art. 86 del D.P.R. 602/73 e conseguente applicazione dell'art. 214, comma 8, del D.lgs. n. 285/92 (Codice della Strada).

Con nota in data 17 ottobre u.s., che si allega in copia, questo Ufficio ha sottoposto all'attenzione dell'Avvocatura Generale dello Stato perplessità e dubbi emersi in relazione alle disposizioni indicate in oggetto.
In particolare si è chiesto all'Organo legale di dirimere il contrasto interpretativo, insorto con l'Agenzia delle entrate, in ordine all'individuazione dell'autorità competente a irrogare le sanzioni previste dal combinato disposto dell'art. 86, comma 3, d.P.R. n. 602/1973 e dell'art. 214, comma 8, d.lgs. 285/1992. Come noto, il capo III del D.P.R. n. 602/1973 detta norme particolari in materia di espropriazioni di beni registrati, statuendo all'art. 86, comma 3, che "chiunque circola con veicoli ...... sottoposti a fermo è soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285". A sua volta, il citato articolo dei codice della strada prevede testualmente che "chiunque circola con un veicolo sottoposto a fermo amministrativo, "salva l'applicazione delle sanzioni penali per la violazione degli obblighi posti in capo al custode, è soggetto alla sanzione amministrativa dei pagamento di una somma da euro 656,00 ad euro 2628,00. E' disposta, inoltre, la confisca del veicolo".
In assenza di specifiche indicazioni, si è più volte verificato che gli organi di polizia, all'atto dell'accertamento della violazione, abbiano disposto il sequestro del veicolo, ai sensi dell'art. 213 del D.Leg. 285/1992, ed abbiano trasmesso i relativi verbali alla Prefetture, nell'erronea presunzione che, trattandosi di sanzioni previste dal codice della strada, fosse il Prefetto l'autorità competente ad adottare il provvedimento ablatorio.
In realtà, questa Amministrazione ritiene che non vi siano i presupposti per attribuire ai Prefetto la competenza ad irrogare le sanzioni conseguenti alla violazione del divieto di circolazione dei veicoli sottoposti a fermo "fiscale", non trattandosi di una vera e propria violazione delle norme dei codice della strada, ma di una misura prevista a garanzia di un credito.
In data 6 dicembre u.s., l'Avvocatura Generale, auspicando comunque un intervento normativo che riordini la materia particolarmente complessa, si è espressa sulla questione.
In proposito, l'Organo legale sostiene che, nel caso di accertamento della violazione del combinato disposto dell'art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 602/73 con l'art. 214, comma 8 del C.d.s, gli organi di polizia debbano elevare verbale di contestazione, applicando la sola sanzione pecuniaria, senza procedere al sequestro del veicolo. Gli stessi devono poi trasmettere il verbale di accertamento della violazione al concessionario della riscossione che ha disposto il c.d. "fermo fiscale", al fine di consentire il pignoramento del veicolo. In ogni caso competente a valutare eventuali ricorsi di merito è il Prefetto.
L'orientamento così espresso, seppur basato su argomentazioni non del tutto pacifiche, tuttavia, risolve, in via definitiva, dubbi e perplessità in ordine all'applicazione della sanzione accessoria della confisca, prevista dalla recente modifica dell'art. 214, comma 8, del C.d.s., nell'ipotesi di violazione dell'art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 602/73.
Alla luce di quanto premesso, si ritiene opportuno uniformare l'attività sanzionatoria al citato parere dell'Avvocatura Generale.

IL DIRETTORE CENTRALE PENTA"

mercoledì 1 settembre 2010

Guidare ubriachi potrebbe costare il sequestro dell'auto in leasing

CORTE DI CASSAZIONE sentenza n°10688/2010, depositata il 18 marzo 2010.

L'auto condotta in stato di ebbrezza può essere sequestrata – in vista della confisca – anche se è in leasing, e quindi non appartiene al guidatore. La quarta sezione penale della Cassazione (sentenza 10688/2010, depositata il 18 marzo 2010) allarga il perimetro della confisca come sanzione ulteriormente afflittiva per chi è sorpreso ubriaco al volante, confermando lo spossessamento di una Audi Q7 fermata a un controllo stradale il 10 giugno scorso a Fermo.
I giudici di merito non avevano avuto dubbi nel disporre e poi mantenere il sequestro preventivo: alla decisione del Gip si era associato qualche settimana dopo lo stesso Tribunale del Riesame, che aveva respinto la tesi difensiva secondo cui il veicolo era intestato a terzi (la società di leasing, appunto), e che il periculum in mora (cioè il rischio di nuove violazioni all'articolo 186 del Codice della strada) sarebbe stato neutralizzato dalla sospensione della patente del guidatore.
La Cassazione, nei motivi sintetici per respingere l'ulteriore impugnazione, ha sottolineato che il bene detenuto in forza del contratto di leasing «appartiene al soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del bene stesso; e anche se non è «proprietà», questo stato le somiglia molto perché è di fatto un «diritto a godere del bene, sulla base di un titolo che esclude i terzi».
Pertanto, «appare evidente la legittimità del sequestro di un veicolo il cui conducente sorpreso alla guida in stato di ebbrezza (...) ne abbia la disponibilità in forza di un contratto di leasing». Lo stesso periculum in mora di reiterazione può essere garantito solo dal sequestro, atteso che la sospensione della patente è un provvedimento, per sua natura, temporaneo. Quanto ai diritti della società di leasing, l'auto deve essere dissequestrata solo di fronte alla dimostrazione della cessazione del contratto di locazione finanziaria.
La sentenza del 18 marzo quindi conferma una linea di rigore nell'applicare la confisca del veicolo, introdotta dal pacchetto sicurezza del 2008 (Dl 92/08) per i casi più gravi di ebbrezza (articolo 186 del Codice della strada) e per la guida sotto l'effetto di stupefacenti (articolo 187). La confisca crea una serie di problemi visto che, per principio generale, non può scattare quando la circolazione del veicolo avviene contro la volontà del proprietario o quando questi è comunque estraneo all'infrazione, che accade quando il mezzo è intestato a soggetto diverso dal conducente. È il caso non solo di leasing e noleggio, ma anche della cointestazione. Sotto questo profilo, si sono lette sentenze molto garantiste, come quella che un anno fa a Bologna escluse la confiscabilità solo perché il trasgressore era in comunione di beni con la moglie (in questo caso, la comproprietà esiste per legge). Ma la Cassazione pare aver ormai adottato una linea ben più restrittiva.
Lo si è visto a partire dalla sentenza 45938 del 1° dicembre 2009: secondo la quarta sezione penale, per non far scattare la confisca occorre che il veicolo sia integralmente intestato a un terzo estraneo, perché la cointestazione lascerebbe presumere che il trasgressore utilizzi il mezzo non solo occasionalmente, e quindi se ne conservasse la disponibilità potrebbe utilizzarlo ancora in modo da costituire pericolo.

Amministrazione condannata a risarcire anche il danno biologico ai militari…

…colpiti dal cancro dopo l'esposizione all'uranio impoverito Il militare colpito da un tumore dopo essere stato esposto all'uranio impoverito durante missioni all'estero deve essere risarcito dalla pubblica amministrazione anche del danno biologico. Lo ha deciso il Tar della Campania che, con la sentenza 17232 depositata il 5 agosto scorso, ha accolto la domanda di risarcimento di un militare che aveva sviluppato un tumore alla tiroide dopo aver operato in Kosovo tra il 2000 e il 2002. L'uomo aveva presentato una fitta documentazione medico legale che provava la dipendenza della sua patologia dall'esposizione all'uranio impoverito durante la sua permanenza nei Balcani, una sostanza radioattiva contenuta negli armamenti utilizzati dalle forze NATO durante la guerra in Kosovo del 1999. Il soldato aveva ricevuto l'equo indennizzo per infermità da causa di servizio, ma non il risarcimento per il danno biologico patito. La decisione del Tar partenopeo si inserisce nella delicata vicenda della cosiddetta "sindrome dei Balcani", che ha visto decine di soldati impegnati nel conflitto NATO ammalarsi di patologie tumorali legate all'esposizione alle radiazioni. I giudici campani, dopo aver ribadito che la domanda di risarcimento rientrava pienamente nella giurisdizione amministrativa, in quanto la responsabilità dell'amministrazione era "correlata alla violazione dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori dipendenti", hanno condannato il Ministero della Difesa a risarcire il danno biologico sofferto dal militare.

Ilaria Piazza cassazione.net

Attenzione: in autostrada transitare più volte nelle corsie riservate, senza il telepass, può integrare il delitto di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.)

TRIBUNALE PENALE DI NOLA, sentenza del 23 giugno 2010.

Il comportamento dell'utente che si introduce ripetutamente in autostrada transitando nelle apposite corsie riservate al “telepass”, senza essere munito di tale mezzo di pagamento elettronico, integra l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 641 c.p. di insolvenza fraudolenta.

Art. 641 c.p.: Insolvenza fraudolenta.
Elementi oggettivi: '"assunzione dell'obbligazione", "dissimulazione dello stato di insolvenza", "inadempimento".
Elemento soggettivo: dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza dello stato di insolvenza e dall'elemento volitivo, costituito dal preordinato proposito di non adempiere – Transito nelle apposite corsie riservate “telepass” senza essere munito di mezzo elettronico: sussistenza del reato.

Segui questo link per trovare la sentenza integrale:
http://www.iussit.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1440&Itemid=1

Nulla la richiesta di versamento degli interessi dei tributi non preceduta dall'avviso di accertamento

CORTE DI CASSAZIONE, sentenza n°17613, del 28 luglio 2010.

Nel caso di cartella di pagamento per omesso versamento di tributi, è nulla la pretesa degli interessi maturati senza la previa notifica di un avviso di accertamento. Infatti, “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, va interpretato nel senso che i casi nello stesso indicati, in relazione ai quali è consentito all'Ufficio tributario l'iscrizione a ruolo di tributi, senza la preventiva notifica dell'avviso di accertamento, devono ritenersi tassativi e non suscettibili di ampliamento, in quanto comportanti una compressione dei diritti di difesa del cittadino e che tra le ipotesi previste nelle lettere da a) a e) dell'articolo in esame non sono certamente ricompresi gli interessi e le sopratasse”.
Vedi anche:
http://www.iussit.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1475&Itemid=1

martedì 31 agosto 2010

Novità estive al Codice della Strada

Cari lettori vi fornisco il link dove potete gratuitamente trovare la Legge 29 luglio 2010, n. 120, che ha apportato numerose modifiche al nuovo Codice della Strada. La legge è corredata da un'accurata descrizione delle modifiche apportate:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=11693